Sivori, il tradimento di Giuntoli e l’ipocrisia dei tifosi: una storia di calcio italiano.
Se c’è una cosa che il calcio italiano sa fare bene, è sicuramente creare discussioni e polemiche. L’ultimo episodio che ha acceso i riflettori riguarda il trasferimento di Cristiano Giuntoli dal Napoli alla Juventus. Mentre alcuni tifosi lo hanno accolto con entusiasmo, altri lo hanno definito un traditore. Ma cosa c’è di così strano in questo passaggio?
Se guardiamo indietro nella storia del calcio italiano, scopriamo che molti giocatori e dirigenti hanno compiuto lo stesso percorso. Da Altafini a Ferrara, da Cannavaro a Higuain, per non parlare di Moggi, sono innumerevoli gli esempi di persone che hanno visto cambiare radicalmente la loro reputazione a seconda della squadra per cui lavorano. Moggi stesso, considerato un “ladro” per aver favorito la Juventus, è diventato un “santo” quando ha contribuito alla vittoria del Napoli.
Ma è ancor più ridicolo il fatto che questi argomenti siano sostenuti da intellettuali e scrittori. Invece di focalizzarsi su questioni importanti, si lasciano catalizzare da futili questioni di appartenenza calcistica. Questo atteggiamento semplicistico dei tifosi è talmente comune che si crede possa definire la personalità di una persona.
Ma fino a che punto può spingersi questa follia? Quando inizi a insultare e offrire a qualcuno solo perché ha espresso il suo amore per una squadra allenatrice fin da bambino, stiamo davvero esagerando. I social diventano uno sfogo per questi cosiddetti “odiatori”, che si dimenticano facilmente delle figure ridicole che hanno fatto in passato, contestando De Laurentiis, Spalletti e lo stesso Giuntoli.
Questo atteggiamento di appartenenza è solo una stupida idea che non dovrebbe definire una persona. È un marchio facile da individuare: lo scrittore napoletano con sciarpa e trombetta comodamente appollaiato a sparare sentenze. Ma fino a quando questi personaggi continueranno a ottenere consenso, continueranno a farlo.
Ma quando si supera il confine del Garigliano a Nord e ci si dirige verso Campanella a Sud, si scopre che i confini della tifoseria sono molto limitati per i “neo masaniello”, “neo melodici” e un po’ “neo borbonici”. La riscoperta tardiva della revisione storica li condurrà inevitabilmente a un risveglio doloroso, un risveglio per il numeroso gregge che segue ciecamente questi falsi profeti.
Infine, vogliamo sottolineare che il successo di una squadra non si basa sull’appartenenza di un dirigente, ma sulla sua professionalità e competenza. Tutti gli insulti rivolti a Giuntoli sono solo la manifestazione di un’incomprensione profonda. I cosiddetti “professionisti del consenso” saranno sempre pronti a scandalizzarsi per un coro da stadio, ma mai protesteranno per tanta volgarità.
Quindi, applausi a Giuntoli per il suo passato e per il suo futuro. Non dimentichiamoci che è stata la sua professionalità a portare la squadra a risultati eccezionali: uno scudetto, una coppa Italia, il raggiungimento dei quarti di Champions, nonché tre secondi e due terzi posti in campionato. Questi successi non possono essere oscurati dall’invidia e dall’ipocrisia dei tifosi.
In conclusione, il calcio italiano è intriso di ipocrisia. Dobbiamo smetterla di giudicare le persone in base alla loro squadra di appartenenza e iniziare a dare il giusto merito a chi lavora duramente per raggiungere obiettivi importanti. È solo così che il calcio italiano potrà uscire dall’ombra di queste controversie insignificanti e concentrarsi sulle cose che veramente contano.
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